Opere
Il Minatore e lo scritto del 1951
“Lo scuro non è nero per noi pittori e credo che questa opinione sia condivisa dagli stessi minatori. Ricordo trovai giusta la intuizione di certi viola, bleu e rossi che avevo introdotto nel mio dipinto il Minatore; la mia immaginazione mi aveva assistito”. Romeo Mancini in «La nostra lotta», 6 aprile 1951.
Il Minatore, 1950, olio su tela, cm 158,5 x 97,7, collezione privata
CERAMICHE CERAMICHE
Viene qui riportato per intero un articolo scritto da Romeo Mancini nel 1951 e pubblicato su “La nostra lotta” del 6 aprile 1951, Un gruppo di pittori democratici tra i minatori del Bastardo in lotta:
Non avevo mai visto una miniera. Mi vergognavo quasi a dirlo, quanto questo fatto mi dava il senso della colpa. Ho ormai la convinzione che le vere ragioni dell’arte e della cultura si trovano dove c’è la vita e la lotta per conquistarla.
Questo convincimento vi è sempre stato in me, anche se a volte ho sostenuto la necessità di dipingere “la natura morta”
ovvero d’intender la pittura come fatto di “conoscenza” per la rivelazione di spazi forme, colori.
Non avevo ancora visto la miniera, ma conoscevo bene la vita del minatore, la lotta che da tempo esso conduce. Questo accresceva il mio senso di colpa per essere stato così distaccato da quel settore dove uomini danno la vita.
Nell’avvicinarli alla zona del Bastardo, facevo queste riflessioni mentre il paesaggio cominciava a farsi più brullo e triste,
come a rispecchio della vita che si stava svolgendo nel sottosuolo. Questa realtà è accresciuta dall’odore acre e pungente nell’aria della lignite forse sotto forma di pulviscolo che faceva sentire in maniera concreta la presenza della miniera.
La presenza della miniera è oggetto di lotta, tutto intorno lo dimostra; i miseri dormitori, le case, il paese disadorno
e fuligginoso che sembra costruito solamente, più che per gli uomini, per lo sfruttamento della miniera; le scritte sui muri
bianche e nere. Il desiderio di scendere nel sottosuolo di conoscere quella gente, stringergli la mano, aumentava con l’avvicinarsi al pozzo Acquarossa. Si temeva tutti che vi fossero state delle difficoltà per ottenere il permesso di scendere nella miniera. Non ci illudevamo, l’autorizzazione non ci venne concessa subito. Quell’attesa accresceva il nostro desiderio: avevamo una ferma volontà di entrare. Una violenta impressione ricevetti dall’enorme castello nerastro silenzioso che si ergeva all’imboccatura del pozzo, i camion sottostanti sembravano a confronto piccoli giocattoli: contro quel cielo grigio-azzurro potrebbe essere un utile argomento per un quadro pensai. Non si vedeva nessuno intorno, più tardi un lieve mormorio reso percepibile al nostro orecchio attento, testimoniò la presenza di uomini, erano infatti dei minatori che in attesa del loro turno consumavano il misero pasto, si fecero avanti e ci guardarono con sguardo amico. Ci facemmo alcune domande, e li osservai bene: la loro presenza preponderò sulla emozione che avevo ricevuto dal paesaggio.
Pensai subito che avrei disegnato uno di loro nel caso che non fosse stato possibile entrare nel pozzo. La figura del minatore del Bastardo non ha niente di retorico e non si presenta nella maniera in cui sovente si rappresenta nelle riviste o nei cartelli delle grandi compagnie minerarie. Il minatore del Bastardo è vestito dei nostri stessi abiti, le compagnie minerarie non vogliono dividerli dal resto degli uomini con un più adatto costume.
Più tardi seppi che solo pochi stivali di gomma erano in dotazione per quelli che dovevano lavorare nell’acqua. I minatori sembrano pensosi, forse preoccupati dall’agitazione che avevano in corso. Essi non sono scuri nel viso, forse il bianco del lor pallore riesce a cancellare il nero composto dalla polvere della lignite.
Non ci rivelammo allora e non rivelammo i nostri scopi, pensavamo che con un atteggiamento più aperto avremmo potuto compromettere il nostro permesso. Tuttavia i nostri sguardi ci tradirono e qualche parola fu detta.
L’atteso permesso giunse e subito ci avvicinammo al pozzo.
Il capocantiere ci guidò dentro al montacarichi e debbo dire che si mostrò gentile con noi, ma ricordo che non sentii il desiderio di disegnarlo. Una certa impressione ricevemmo nello scendere vorticosamente nelle viscere della terra, non dette la possibilità di percepire il passaggio che s’interponeva tra il chiaro e lo scuro.
Lo scuro non è nero per noi pittori e credo che questa opinione sia condivisa dagli stessi minatori. Ricordo trovai giusta la
intuizione di certi viola, bleu, e rossi che avevo introdotto nel mio dipinto “Il minatore”; la mia immaginazione mi aveva assistito. La sensazione però che andavo ricevendo spingendomi nelle gallerie superava ogni preconcetta visione. Entrammo in una galleria di avanzamento e vi trovammo due operai che stavano armando un traforo di fresco scavato. Fu lì che ci accorgemmo del pericolo che di continuo incorre il minatore. La lignite in quel punto si presentava ancor più lucente ed era tagliata anche dalla luce della lucerna. Analizzai il rapporto che c’è tra il minatore e la miniera. Era molto difficile stabilire chi dei due avrebbe vinto. L’uomo nella casa è più forte di essa; è più forte dell’ambiente, lì invece vi era un continuo contrasto di forze, il minatore diveniva piccolo la miniera sembrava volerlo schiacciare poi a colpi di piccone ingigantiva per divenire elemento di dominio il prezioso contenuto della miniera.
Romeo Mancini